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Ambiente / Opinioni

Abbiamo già dimenticato il disastro di Crotone. E ci assolviamo credendo alla “bomba d’acqua”

I fatti idrogeologici di fine novembre in Calabria confermano il pessimo stato di salute e cura del territorio. Ma dopo pochi giorni già non se ne parla più. Una disattenzione che è d’allarme per tutto il Paese: stiamo imparando che è legittimo trascurare il suolo e il nostro futuro. Il commento del prof. Paolo Pileri

© Glenn Carstens-Peters - Unsplash

Sono passati solo quattro giorni dall’ennesimo disastro idrogeologico italiano, quello con epicentro a Crotone del 21 novembre 2020. Ma già ieri sera -24 novembre- per trovare le informazioni vecchie solo di tre giorni, sui principali quotidiani dovevi usare lo strumento della ricerca, perché ogni informazione e ogni aggiornamento erano spariti dalle prime pagine. Sparite. Capite? Una piaga italiana che anno dopo anno si ripresenta, noi dopo un paio di giorni la cancelliamo. Solo un anno e dieci giorni fa Venezia era sott’acqua e oggi neppure una riga per ricordarcelo. Neppure una. Tutto nel dimenticatoio. Covid-19 sta coprendo tutto e noi gli stiamo andando dietro come i topi seguivano il pifferaio.

Ora, non fraintendete: la questione Covid-19 è grave e deve avere spazio nel dibattito. Quel che voglio far emergere è che Covid-19 ha allentato diabolicamente la già bassissima attenzione sui mali strutturali del Paese di cui la sua classe dirigente (a partire da quella politica) dovrebbe sempre e prioritariamente occuparsi.
La fragilità territoriale del nostro Paese rimane un tema centralissimo e sopravviverà al Covid-19.
Il particolato sottile che uccide centinaia di persone al giorno in Italia non lo fermiamo con il vaccino e ce lo ritroveremo uguale a prima se non peggiorato.
L’asbestosi che si origina dall’amianto ancora sparso nei luoghi pubblici e nelle case private, continua ad ammazzare.

Torniamo a Crotone. Una pioggia importante ha liquefatto quel tratto di Calabria e di nuovo, come se nulla avessimo imparato, abbiamo letto che era una “bomba d’acqua”. Incredibile quanto tendiamo ad autoassolverci: ancora crediamo alla bomba d’acqua? Solo la fortuna ha fatto sì che non vi fossero vittime, ma i danni sono stati ingenti perché quando le bombe cadono e trovano un territorio fragile, abusato e mal curato, fanno danni dieci volte più grandi. Noi dobbiamo occuparci del territorio dove cade la pioggia e non prendercela con la pioggia.
Dobbiamo cambiare l’oggetto con cui ce la prendiamo.

Chissà quanti di quei danni riguardano edifici, strade, auto e parcheggi che sono stati improvvidamente realizzati in aree dove era meglio non fare nulla. E chissà quante opere di regolazione idrogeologica non sono state fatte o fatte male o ritardate. Chissà. Non si saprà mai, perché nessuno va a vedere, contare, fotografare. Sia chiaro che le cose che sto scrivendo non sono un dito puntato contro la Calabria, solo perché è la Calabria. Se la cementificazione in Calabria è fuori controllo, non lo è meno in Veneto o in Lombardia (le prime due Regioni italiane per inutile consumo di suolo).
Il controllo della filiera idrogeologica, ovvero la comprensione di che cosa accade oggi al nostro territorio nel momento in cui ci cade una gocciolina di pioggia, è una questione di cui non ci si occupa. Non tanto quanto ve ne è bisogno. Si improvvisa ogni volta. Si tampona alla meglio. Non si agisce preventivamente sulla pianificazione urbanistica e i suoi sodali fermando i loro appetiti ingordi di cemento e asfalto.

A Milano stanno realizzando (in un parco) una vasca di laminazione per frenare le esondazioni del fiume Seveso che da decenni esonda sempre di più perché a Nord la Brianza è sempre più una lastra di cemento completamente impermeabile e nessuno interviene per fermare quei piani urbanistici.
La Brianza e Crotone sono più parenti di quanto non immaginiate, legate dallo stesso cattivo uso del suolo che oggi dovremmo più propriamente chiamare usura del suolo. Sono temi di cui dovremmo parlare e non tombare dopo due giorni, come accaduto per Crotone. Il futuro del nostro Paese dovrà fare sempre più i conti con la sua natura fragile e i suoi vizi persistenti che fanno a pezzi il territorio.

Il suolo, il bosco, l’area agricola in collina, la natura non hanno il cellulare per telefonare al presidente del Consiglio per chiedergli di aprire un tavolo come fanno persino gli operatori dello sci in pieno Covid-19. Ma il telefono che non trilla da parte del territorio non è un buon motivo per distrarsi, per ignorare, per prendere le cose sottogamba. Il fatto che di Crotone non si parli più già dopo due giorni è da intendersi come una spia di allarme gravissima per tutto il Paese: stiamo imparando che è legittimo dimenticare, trascurare, fregarsene.
Lo diciamo da anni: chi vuole governare il territorio italiano deve stamparsi in testa che siamo un Paese inclinato, traballante, impermeabilizzato a dismisura e con un governo del territorio allo sbando. Che siamo cittadini con bassissima consapevolezza ecologica e ambientale (e la politica che ci rappresenta pure) e che questo è un difetto non un pregio che aiuta. Con Covid-19 la gravità della fragilità strutturale del nostro Paese è scivolata ancor più in fondo all’agenda. Invece dobbiamo avere la freddezza di non dimenticare. Di ripetere. Di tenere viva la priorità di mettere in sicurezza il territorio. Di re-immaginare di cosa deve occuparsi l’urbanistica. Vedremo quante risorse del Recovery fund (il cui nome vero è Next generation) saranno destinate alla manutenzione del territorio, a fermare il dissesto idrogeologico, a non consumare più suolo, a manutenere in ordine i fiumi, a gestire i boschi, etc. In base a quella percentuale giudicheremo la politica e la sua sensibilità per un futuro in cui vorremmo che alcune cose andassero a posto per davvero, perché lo vogliamo per davvero.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “100 parole per salvare il suolo” (Altreconomia, 2018)

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