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Ambiente

A Durban “Unite against climate change”

Durante il Global day of action oltre diecimila persone calcano le strade di Durban per chiedere giustizia climatica e sociale. Sono contadini, pescatori, attivisti e comunità religiose, tutti uniti per chiedere unitariamente e con forza azioni concrete contro il cambiamento climatico. Ma la prospettiva è ancora lontana, e c’è chi, tra le alte sfere della diplomazia, ipotizza addirittura di mettere Kyoto in un congelatore. Con buona pace degli appelli dell’IPCC a fare presto.

Glymil Goyns è sudafricana, ha superato da un po’ i sessant’anni e di professione fa la Pastora presbiteriana. Ha un sorriso solare mentre marcia incollata al suo striscione, ma dietro ad un’apparenza tranquilla nasconde una grave preoccupazione. "Dio ci ha dato una grande responsabilità, che è quella di salvaguardare il mondo per come ci è stato donato" racconta con il tono deciso di chi sa che la posta in gioco è alta, "il pianeta non può essere considerata una merce ed il modo con cui lo stiamo considerando ci porterà a distruggere noi stessi." La prospettiva ricorda l’armageddon, ma il senso c’è tutto e, ad essere sinceri, forse anche il rischio di una mezza apocalisse non è tanto fuori dalla nostra portata.
Glymil è parte di un movimento interconfessionale chiamato "We have faith", testualmente "noi abbiamo fede" che ha messo in gioco proffessioni religiose di ogni provenienza per combattere il cambiamento climatico. "We have faith" ha uno spezzone di un centinaio di persone che sta poche decine di metri dietro allo striscione principale della "Global march against climate change" che si è conclusa poche ore fa nelle strade di Durban, proprio davanti al Convention Center dove si tiene la COP17.
Oltre diecimila persone di provenienze le più diverse, Ong, movimenti contadini e di pescatori, movimenti sociali, ma comunque tanta gente proveniente dall’Africa, anche quella più lontana.
Perchè quando le previsioni fosche ma veritiere dell’IPCC si concretizzeranno, chi ne pagherà la prima conseguenza è proprio il continente africano con tutte le sue fragilità. Il Sudafrica come Presidente di turno sta giocando il tutto per tutto su questa Conferenza delle Parti, ed il primo ministro Zuma vorrebbe portare a casa un risultato storico, ma i rischi della montagna che partorisce un topolino ci sono tutti ed è bene aumentare la pressione sociale, in questi giorni di negoziato, prima della chiusura della Conferenza il prossimo 9 dicembre. Ma c’è chi profetizza la fine di Kyoto o la sua temporanea ibernazione, come Lord Prescott, già Ministro dell’ambiente britannico ai tempi del Governo laburista. "Bisogna fermare l’orologio" dichiara al Guardian, in modo che "il meccanismo di Kyoto, con tutti i suoi principi cardine, le strutture e le competenze formate nonscada e le parti possano continuare ad agire come se il trattato fosse ancora valido mentre ci si concede del tempo per finalizzare un nuovo accordo".
Il tentativo di salvare Kyoto, unico protocollo vincolante sul tema, fa arrivare persino a conclusioni bizzarre. Ma in uno scenario di mancanza di ambizione, come denunciato dalle Ong del Climate Action Network, tutto è concesso. "We have faith", ricordava Glymil in marcia a Durban. Il rischio è che ci tolgano anche quella.
 

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