Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Altre Economie / Varie

Equo italiano

Nei dati del Rapporto 2015 dell’Assemblea generale italiana del commercio equo e solidale la fotografia del movimento. Che resiste nonostante la crisi: gli 84 soci nel 2013 hanno ricavato quasi 70 milioni di euro dalla vendita dei prodotti fair trade (vedi grafico in allegato). Con il logo Equo Garantito, inoltre, è nato anche un “cognome comune” di tutte le organizzazioni italiane. L’intervento di Alessandro Franceschini, presidente di Agices-Equo Garantito, che dal 28 al 31 maggio dà appuntamento a Milano, per Milano Fair City.

Tratto da Altreconomia 171 — Maggio 2015

Di buon mattino accende le luci della bottega, controlla che tutti i volantini sul bancone siano a posto e avvia la cassa dopo aver accuratamente acceso la macchina che regalerà il primo caffè equo e solidale della giornata. Ecco che entra il primo cliente a cui proporre l’ultima campagna, o le informazioni sul prodotto (e sul progetto da cui proviene).
Così comincia ogni mattina da Brunico (BZ) fino a Modica (RG), da Trieste a Mondovì (CN) la giornata di migliaia di volontari che dedicano il proprio tempo al commercio equo e solidale. Siamo abituati da tanti anni a questa dinamica, ma mi piace sottolineare due aspetti a prima vista banali che marcano alcuni tratti distintivi del nostro agire.
Primo. Una fase economica nuova ha ridisegnato negli ultimi 5 anni il panorama del commercio al dettaglio in Italia, con una razionalizzazione della rete di vendita e la chiusura di oltre 200mila esercizi commerciali dal 2008 a oggi. Anche il commercio equo, lo abbiamo scritto e detto più volte, ha risentito di una dinamica negativa che ha portato a molte dolorose rinunce e chiusure, e a conti economici preoccupanti. Va sottolineato però come un tipo di struttura apparentemente fragile -siamo cooperative e associazioni che per lo più gestiscono reti di vendita miscelando lavoro volontario con quello di lavoratori dipendenti- abbia retto molto meglio di altri alla difficoltà del momento.

Perché la nostra apparente debolezza è in realtà il più  grande serbatoio di energia che il movimento del commercio equo italiano può vantare: l’impegno -a tutti i livelli- di persone che nella vendita di prodotti vedono lo strumento per costruire nuovi schemi economici; cittadini che sostengono chi dall’altra parte del mondo o qui in Italia lavora per unire alla produzione valori che vanno oltre le regole del commercio, se inteso come puro incremento del valore aggiunto. C’è poi un secondo elemento che caratterizza la nostra capacità di creare percorsi alternativi nel solco della pratica economica tradizionale -che forse non raccontiamo abbastanza, perché lo consideriamo scontato-. Siamo di fronte a un mercato globale che sta uscendo da una fase di crisi utilizzando spesso gli identici meccanismi che a quella crisi hanno portato. E allo stesso tempo assistiamo a una progressiva spersonalizzazione dei processi produttivi e commerciali, legata per lo più all’anonimato garantito dalla finanza speculativa.

In questo scenario ecco che noi abbiamo una carta vincente da giocare: quella della relazione. Relazione umana prima che scambio di beni e servizi. Relazione tra organizzazioni di produttori e organizzazioni di consumatori (mi piace pensare alle nostre botteghe come a delle specie di precursori dei gruppi d’acquisto solidali, in cui gruppi di consumatori scelgono responsabilmente che prodotti acquistare e da chi). Relazione, anche, tra cooperative che si sono specializzate in contatto con i produttori e altre che vedono il loro obiettivo principale nella vendita e nella proposta culturale sul territorio. Relazione, infine, tra le migliaia di volontari e soci lavoratori che ogni mattina aprono le botteghe e milioni di consumatori che preferiscono un accogliente esercizio di vicinato ad altre proposte commerciali. Anche perché sanno che lì trovano una merce tanto gratuita quanto rara: la possibilità di fare due chiacchiere, di condividere delle scelte, di farsi spiegare perché quei prodotti sono unici e validi.
L’Assemblea generale italiana del commercio equo e solidale (www.equogarantito.org) ha cercato con i propri 84 soci di guardare avanti, a tutte le sfide importanti che ci attendono. A partire da lancio della campagna e del logo Equo Garantito che vuole essere il “cognome comune” di tutte le organizzazioni italiane e soprattutto il marchio che unisca le tante realtà del nostro vasto arcipelago. Equo Garantito sarà sempre più un marchio identitario, riconoscibile per i consumatori e per le istituzioni, veicolo comune di visibilità per le tante attività che ogni giorno organizziamo sul territorio. —

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.