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Comuni, tenuta a rischio



Negli ultimi anni “si è assistito in altre parole a una riforma fiscale sotto mentite spoglie” scrive Alessandro Volpi, editorialista di Altreconomia e sindaco di Massa. Gli enti locali non sanno più quantificare le entrate fiscali, e l’approvazione dei bilanci “preventivi” per il 2013 slitta al 30 novembre (del 2013)


La finanza locale sconta in questa fase una serie di difficoltà fin troppo evidenti, in parte legate alle dinamiche del Patto di Stabilità, in parte dipendenti da variabili ancora più generali. 

La più significativa è costituita dalla pressoché assoluta incertezza del quadro normativo di riferimento: nel giro di due anni è cambiata la fisionomia di una parte importante del sistema fiscale locale e, in relazione a ciò, è stata stravolta nella forma e nella sostanza l’architettura dei trasferimenti erariali. Si è assistito in altre parole a una riforma fiscale sotto mentite spoglie, che ha utilizzato alcuni dei veicoli normativi posti in essere dal progetto federalista della legge 42 per avviare una drastica riduzione sia delle risorse degli enti locali sia, in maniera paradossale, della loro autonomia finanziaria.

Questo stravolgimento è avvenuto, di fatto, senza una reale riflessione generale sull’impianto del sistema dei tributi più adatto per le realtà territoriali italiane, e senza una definizione dei costi standard che tale sistema avrebbe dovuto sostenere. 
In estrema sintesi, questa fase ha sperimentato il compiersi di una serie di operazioni “a cuore aperto” sulle finanze dei Comuni, che non ha caso hanno visto prorogare i tempi di approvazione dei loro bilanci di previsione al 30 novembre: un vero e proprio ossimoro concettuale. 


Le difficoltà che ne sono derivate sono molte e possono, almeno in parte, essere così sintetizzate:

1)    l’incertezza sul versante delle entrate correnti, dipendente dal caotico combinato disposto di modifiche fiscali e tagli ai trasferimenti, condotti con continue modificazioni degli stessi contenitori formali (Fondo sperimentale, fondo di riequlibrio, fondo di solidarietà…) ha reso estremamente complesso costruire previsioni che siano realmente sostenibili. Si è giunti persino ad indicare per decreto il ricorso, nel caso dell’Imu, all’accertamento convenzionale. L’impossibilità di fare previsioni veramente efficaci è dipesa anche dalla continua alterazione delle voci di gettito: si pensi alla questione dei fabbricati D, per non citare la questione della Tares.

2)    Ad accrescere l’incertezza ha contribuito poi il costante, mancato ristoro agli enti locali del minor gettito provocato dalla cancellazione o dalla modifica delle imposte e dei tributi. Nonostante il già ricordato accertamento convenzionale, i Comuni non sono stati ristorati del minor gettito reale, così come le nuove esenzioni e riduzioni dettate dalla recente disciplina Imu non paiono coperte da altre risorse statali.

3)    Queste incertezze hanno prodotto la certezza di una continua tensione sul versante della cassa degli enti locali che, non potendo riscuotere, si sono trovati in crisi di liquidità: una crisi appesantita sensibilmente dal pur importante decreto sui pagamenti delle Pubblica amministrazioni, che ha costretto gran parte degli enti a fare ricorso ad anticipazioni di tesoreria.

4)    Ad un simile quadro si legano inoltre, come accennato, i tagli della spending review, sia sotto forma di minori trasferimenti (in pratica azzerati) sia di contributi al Patto di stabilità. Ormai la riduzione della spesa e dell’indebitamento impone vincoli agli enti che non sono sostenibili, se non accompagnati da una vera azione di ridefinizione dei compiti degli stessi enti, che non possono essere più quelli del testo unico nel momento in cui le risorse per svolgere tali funzioni sono state drammaticamente ridotte. In questo senso, proprio il tema del federalismo torna centrale: senza una vera definizione di uno Statuto delle autonomie che parta da una visione più complessiva dei compiti, delle attribuzioni e delle risorse delle diverse parti istituzionali, la costante azione di taglio produce soltanto un’anoressia malata delle strutture pubbliche, tale da snaturare il rapporto tra amministrazioni e comunità.

5)    Peraltro, il Patto di stabilità continua a mantenere molte delle sue incongruenze, bloccando i pagamenti senza di fatto limitare l’indebitamento (sarebbe più utile forse costruire un ragionevole limite basato sul rapporto fra interessi pagati e entrate correnti), e non sapendo distinguere fra spese “utili” e spese inutili. L’impressione più generale, tuttavia, è che negli ultimi anni l’insieme di queste difficoltà, oltre che dai problemi gravi della finanza pubblica, sia dipeso da un rapporto “malato” fra governo centrale e amministrazioni locali. Un rapporto in cui il governo centrale ha scaricato molte delle proprie tensioni e, soprattutto, dopo la formazione del gabinetto di larghe intese, molte delle proprie contraddizioni.

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