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Economia

L’Unesco fa la forza

La lista dell’Onu è un’occasione unica per il turismo. A patto di non “perdere” i siti. I luoghi a rischio: da Pompei a Vicenza alle Cinque Terre —

Tratto da Altreconomia 151 — Luglio/Agosto 2013

Il “marchio Unesco” è un brand turistico unico al mondo. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura dà, quando riconosce un sito come parte del Patrimonio mondiale dell’umanità, ma può anche togliere, se chi l’amministra compie scelte che non lo rispettano né tutelano. Entrare a far parte della World Heritage List equivale a una campagna di comunicazione da 2 milioni di euro, ma è anche una responsabilità: “Siamo patrimonio di tutti. Tutti devono essere responsabili” ci spiega Carlo Francini, che per conto del Comune di Firenze è referente per il centro storico di Firenze e coordinatore scientifico dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Nata nel 1997, riunisce i siti italiani che dal 1972, quando venne siglata la Convenzione Unesco per la tutela del patrimonio culturale e naturale, hanno fatto ingresso nella World Heritage List. Sono 48 (quando andiamo in stampa, con il riconoscimento dell’Etna il 21 giugno), ma fino al 27 giugno si è riunito in Cambogia il World Heritage Committee, che con molte probabilità avrà inserito “in lista” anche le 14 ville Medicee nei dintorni di Firenze.
Questo significa che il prossimo anno, quando saranno candidati “I paesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe-Roero e Monferrato” (www.paesaggivitivinicoli.it), l’Italia potrà far 50, su un migliaio di siti nel mondo.

A meno di non scivolare: dalla lista, infatti, si può anche uscire. È successo alla città tedesca di Dresda, nel 2009, e potrebbe toccare anche ad alcuni “beni” italiani. Pompei, ad esempio, è sotto osservazione: il sito archeologico si sta sbriciolando, e la relazione dell’ultima missione di monitoraggio, a gennaio 2013, discussa in Cambogia, sottolinea che “i prossimi due anni saranno cruciali per dimostrare l’efficacia dell’iniziative messe in campo” dal governo italiano per ridurre i rischi di deterioramento. Il World Heritage Committee avrebbe voluto inserire Pompei nella (sgradita) lista World Heritage in Danger, mentre i consulenti dell’organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura hanno suggerito un monitoraggio costante e di riparlarne nel 2015. Se le scelte relative a Pompei -in lista dal 1997, 2,3 milioni di turisti l’hanno visitata nel 2011- chiamano in causa la capacità di spesa del ministero dei Beni culturali, il ministro Massimo Bray ha indicato chiaramente il suo orizzonte: “Indirizzare tutti gli sforzi e le risorse necessarie a restaurare Pompei e a fare di questo straordinario monumento, il simbolo della rinascita del Paese” ha scritto sull’Huffington Post. Vedremo se, anche grazie al finanziamento garantito dall’Ue, poco più di 100 milioni di euro, l’Italia salverà Pompei. Tuttavia, uno dei fattori di rischio evidenziati dai consulenti Unesco è il flusso massiccio di turisti, che con il restauro del sito, spiega la Commissione europea “potrebbe aumentare di almeno 300mila persone con enormi benefici diretti e indiretti per la regione in termini di posti di lavoro e per le attività commerciali della zona”.

Bruxelles e i turisti potranno anche salvare Pompei, una città non abitata, ma in gran parte d’Italia il “problema con l’Unesco” è di ben altra natura. “I siti, che sono sempre candidati dai Paesi, e non dall’Unesco, entrano a far parte della lista grazie al proprio Outstanding Value -spiega Francini, dell’Associazione siti Unesco-: è l’eccezionalità del sito, che comporta un impegno che riguarda il mantenimento dell’integrità e dell’autenticità”. E aggiunge: “Non l’ha ordinato il dottore: non c’è nessun obbligo” di far parte della World Heritage List. Tradotto: l’azione dell’uomo -di chi amministra un territorio e di chi ci vive- dev’essere sempre conservativa, e non può permettersi di modificare in modo irreparabile l’eccezionalità del proprio “Patrimonio”. Altrimenti, si può uscire. Durante la riunione in Cambogia c’erano due relazioni relative a siti italiani: oltre a Pompei, l’Unesco ha voluto capire che cosa stia accadendo alle Cinque terre (pure in lista dal ‘97). Il territorio è fragile, d’accordo, e c’è stata l’alluvione dell’autunno 2011, è vero, ma la relazione sottolinea come “il lento processo di degradazione del paesaggio culturale è dovuto a pressioni socio-economiche in aumento piuttosto che ai disastri naturali”.

Se l’Italia ha delle colpe, in questo caso le condivide con l’Unesco: “Solo dal 2001 l’Organizzazione richiede di approvare un Piano di gestione, contestualmente all’iscrizione in lista del sito. Prima, questo tema non aveva alcuna evidenza. E noi italiani non lo facevamo -spiega ad Ae Marco Valle, project manager al SiTI, Istituto superiore sui sistemi territoriali per l’innovazione, (www.siti.polito.it)-: ci sono voluti 30 anni e rotti per capire che va bene che un sito è eccezionale, ma altrettanto importante è conservarlo in modo adeguato”. Per quanto riguarda le Cinque terre, non esiste ancora un Piano di gestione. E solo nel 2013 si lavora alla creazione di un tavolo di coordinamento tra tutti gli enti che già “gestiscono” l’area, dall’Ente parco (nazionale) alla Regione alle amministrazioni locali.

Ma anche altrove, in Italia, il Patrimonio mondiale dell’umanità è a rischio disastro: a Venezia, ad esempio, il fragile equilibrio del sito -l’Unesco ha “riconosciuto”  nel 1987 il centro storico della città e la sua Laguna- è messo a rischio dal passaggio delle navi da crociera (come abbiamo raccontato su Ae 149), contro cui si è manifestato dal 7 al 9 giugno scorsi; a Vicenza, invece, è dell’8 dicembre 2012, invece, l’ultima manifestazione per attirare l’attenzione dell’Unesco sulla città, una provocazione promossa da Alberto Peruffo, agitatore culturale, libraio ed editore a Montecchio Maggiore (Vi, www.casadicultura.it).
Cento persone hanno acceso fumogeni rossi in uno dei campi intorno alla base militare Usa Dal Molin, i cui lavori sono conclusi (quando leggerete quest’articolo potrebbe essere stata già inaugurata). “Vicenza, patrimonio vergognoso dell’Unesco” il monito lanciato da Peruffo insieme agli attivisti del movimento No Dal Molin (www.nodalmolin.it). Un messaggio che si è mosso in direzione di Parigi: “Tra i principi fondativi dell’Unesco ci sono la cultura e la promozione della pace e del dialogo  tra i popoli -racconta Peruffo ad Ae-, e per questo credo che una base militare all’interno di una città Unesco sia una contraddizione in termini”.

A metà febbraio 2013, Peruffo ha inviato una lettera a Parigi:  “State perdendo la vostra credibilità, ho scritto all’Unesco -racconta-. Siete ingarantisti, ho aggiunto”. A stretto giro di posta è arrivata una risposta, diffusa a tutti gli uffici periferici (compresi quelli italiani, presso il ministero dei Beni culturali).
La prima azione di Peruffo per chiedere la radiazione di Vicenza dall’Unesco è del 2007, con l’istanza “Vicenza out of Unesco”, il cui primo firmatario fu lo scrittore Mario Rigoni Stern. Nello stesso anno, durante la notte tra il 9 e il 10 giugno, 400 croci attraversarono il centro storico della città: era The Wandering Cemetery, un’altra provocazione artistica firmata Peruffo. Vicenza fa parte del Patrimonio mondiale dell’umanità dal ‘94, mentre nel ‘96 entrano nella World Heritage List anche 16 ville progettate da Andrea Palladio sul territorio provinciale: “Alla nostra città si riconoscono i principi dell’urbanesimo, l’eccellenza nell’architettura e nel disegno del paesaggio: oggi, per un’opera come il Dal Molin non si potrebbe prescindere dalla valutazione d’impatto ambientale, che però non è stata fatta. Inoltre, la base non era prevista dagli strumenti urbanistici della città. Che cosa accadrebbe se le altre città seguissero l’esempio di Vicenza? Non possiamo più essere d’esempio al mondo”.
E l’elenco potrebbe allungarsi all’infinito: ad Urbino è stato inaugurato -nel 2012- un centro commerciale “appoggiato” sulle mura cittadine, quelle che chiudono un centro storico che rappresenta il “vertice dell’arte e dell’architettura del Rinascimento”, e che per questo è sito Unesco dal 1998; il Comune di Assisi (Pg), invece, vorrebbe tanto approvare un nuovo Piano regolatore generale (Prg) che prevede 26mila metri cubi di nuove abitazioni. La Provincia ha sottolineato che non si può costruire in alcune aree “come a S. Maria degli Angeli tra la stazione ferroviaria e il Teatro Lirick, fino a salire sotto la Basilica di San Francesco”, racconta Luigino Ciotti, presidente del circolo culturale 1° maggio e membro del “Comitato per la tutela dell’area dei castelli di Rocca Sant’Angelo, Sterpeto e San Gregorio”. Il comitato è nato per sottrarre alla speculazione un’area agricola di 6 ettari, sotto Rocca Sant’Angelo. Contro la cementificazione di Assisi si è spesa anche Italia Nostra: “Dopo il terremoto del 1997 sono arrivati ingenti finanziamenti grazie anche al Sacro Convento di San Francesco, che è stato uno dei maggiori beneficiari” spiega un comunicato stampa diffuso a maggio 2013. Secondo l’associazione, Assisi sarebbe ormai una città confezionata “per il turismo di massa”, e il nuovo Prg finirebbe con l’aggravare questa dinamica.
Il messaggio è rivolto al sindaco, Claudio Ricci, presidente dell’Associazione città e siti Unesco. Assisi, e pare un contrappasso, a settembre -dal 20 al 22- ospita la quarta edizione del “Salone mondiale del turismo città e siti patrimonio mondiale” (www.worldheritagetourismexpo.com), manifestazione nata con l’obiettivo di “creare circuiti turistici che integrino i classici tour e incentivino la presenza nelle città e nei siti Patrimonio mondiale”.

È l’effetto Unesco, che l’Organizzazione prova a studiare “anche se non esistono criteri scientifici -spiega ad Ae Marco Valle, di SiTi-. È certo però che a livello mondiale non ci sono altri marchi che hanno questo impatto, è che esistono nuovi turisti ricchi, ad esempio in Giappone e Cina, che viaggiano solo per siti Unesco. Esistono, cioè, agenzie che programmano tour Unesco. Ma ci sono anche casi in cui questo brand non è stato utilizzato”. È Valle, in ogni caso, ad aver stimato in 2 milioni di euro l’effetto Unesco Secondo Valle, che però -spiega- dipende da numerosi fattori: “Alberobello, la città dei Trulli, sito Unesco dal 1996, ha fatto un gemellaggio con un sito giapponese, che ha garantito due passaggi sulla tv pubblica giapponese: ciò ha portato un 30% in più di turisti giapponesi. Un turismo ricco e destagionalizzato”. Funzionano bene anche i siti “seriali”, come l’“Italia longobarda”, iscritta nel 2011 (www.italialangobardorum.it): riunisce i luoghi di potere dei Longobardi, da Cividale del Friuli a Monte Sant’Angelo, sul Gargano: “Erano pressoché sconosciuti, e i flussi sono aumentati necessariamente” spiega Valle, che però non fornisce dati. Sono seriali, però, anche le ville dei Medici, in procinto di entrare nel 2013, e i Paesaggi vitivinicoli del Piemonte, in lizza per il 2014: “Sei macro aree, per un totale di 10.700 ettari, su 3 Province (Cuneo, Asti e Alessandria)” spiega ad Ae Roberto Cerrato, presidente dell’associazione che ha presentato la candidatura e gestirà il sito. Riferisce stime Unesco: “Un 30 per cento in più di turisti, nei primi cinque anni”. Significa 1,5-1,8 milioni di persone. “L’Ente turismo Alba Bra Langhe Roero è ben strutturato. Ma potenzialmente è una bomba, da gestire con attenzione -conferma Valle, che con SiTi ha curato il dossier di candidatura, un investimento da circa 400mila euro-. Non devono essere rovinate”. Cerrato spiega che tutti i Comuni hanno già approvato una variante urbanistica, che impone vincoli alla trasformazione delle aree. E il nuovo ospedale di Alba-Bra, costruito in mezzo ai vigneti di Verduno? “Il progetto dell’ospedale era già stato approvato ben prima della candidatura. Quell’area, in ogni caso, è nella buffer zone”, spiega Cerrato, cioè -da Convenzione Unesco- in quell’area “che deve garantire un livello di protezione aggiuntiva ai beni riconosciuti patrimonio mondiale dell’umanità”. E non è un caso  che il termine sia ripreso dal vocabolario militare, dove con lo stesso termine si indicano le “zone cuscinetto” tra due parti in conflitto: là fuori si combatte una guerra civile, senza quartiere e tra bande, contro il paesaggio e l’articolo 9 della Costituzione. —

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