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Privatizzare è un’arte

La mancanza di risorse condanna gli enti a cedere il “tesoro” culturale italiano. Il caso della Villa Reale di Monza

Tratto da Altreconomia 138 — Maggio 2012

Tra un paio d’anni, al posto della Villa Reale di Monza ci sarà “Villacenter”. E dopo aver  assistito alla promozione di una nuova linea di biancheria, con sfilata nei saloni progettati dal Piermarini alla fine del Settecento, potrete concedervi un aperitivo con musica dal vivo.
Questo non è un incubo molto chic, ma il risultato di un processo che alcuni definiscono “valorizzazione”. Il cui oggetto non è solo la Villa Reale di Monza, ma tutto il patrimonio artistico e monumentale dell’Italia, che oggi è come dentro un imbuto le cui pareti sono molto scivolose: il budget del ministero dei Beni culturali è in picchiata, e con 1,42 miliardi, nel 2011 ha segnato un meno 30% rispetto alla capacità di spesa del 2008; allo stesso tempo, i tagli dei trasferimenti e il patto di stabilità limitano la capacità di spesa degli enti periferici -Comuni, Province e Regioni-, che detengono la maggioranza di un patrimonio che è “diffuso” in tutto il Paese (quasi la metà dei musei, ad esempio); nemmeno l’apporto delle fondazioni bancarie può crescere: a causa della crisi degli istituti di credito, i bilanci sono più magri -dato che dipendono dai dividendi distribuiti dalle varie Intesa, Unicredit ed Mps-.  
In fondo all’imbuto c’è un punto di caduta. Che si chiama, a seconda dei punti di vista, “privatizzazione” o “messa a reddito”. A incrociare i dati delle risorse che mancano e dei problemi di fruizione dei beni culturali, che renderebbero necessario questo passo, ci ha pensato Intesa Sanpaolo, che nell’autunno del 2011 ha dedicato un convegno al tema “Beni culturali, identità, crescita” (gli atti in allegato) commissionando all’Università Bocconi uno studio su “La gestione del patrimonio artistico e culturale in Italia” (in allegato sul sito). Tra musei, aree archeologiche e complessi monumentali sono circa 4.800 i siti aperti al pubblico con continuità; oltre l’85% dei beni è gestito da enti pubblici, enti non profit o enti ecclesiastici; nei musei non statali entrano, in media, 12mila persone all’anno; 40.500 in quelli statali; in totale, i fruitori sono circa 100 milioni, mentre gli introiti da biglietteria, per i musei, sono 2,7 euro per visitatore, 245 milioni di euro in tutto. Soprattutto, solo il 7 per cento di coloro che entrano in un museo alla fine ne esce dopo aver acquistato qualcosa, per una spesa media di 1,4 euro. Questo dato, definito conversion rate, è del 25% al Tate Museum di Londra e “addirittura” del 33% alla National Gallery.   
Le armi delle truppe che muovono contro la gestione pubblica del patrimonio del Belpaese non sono però solo quelle dell’economia. Lo scivolamento è anche culturale. “La riflessione è ferma alla metà degli anni Ottanta, alla dottrina dei ‘giacimenti culturali’, o ‘dell’arte come petrolio d’Italia’ -commenta Tomaso Montanari, che insegna Storia dell’arte moderna alla Facoltà di Lettere dell’Università “Federico II” di Napoli-. Il patrimonio storico e artistico del Paese è visto come un pozzo di petrolio, una ‘risorsa da sfruttare’. Recentemente è stato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a usare queste parole”. Le ha scritte, Napolitano, in un messaggio inviato a Il Sole 24 Ore. A metà febbraio il quotidiano di Confindustria ha pubblicato un “Manifesto per la costituente della cultura”, intitolato “Niente cultura, niente sviluppo”.
“In un passaggio, il ‘Manifesto’ evidenzia l’esigenza di tutti i ministeri di ‘agire di concerto’ -riprende Montanari-. Tra le righe, suggerisce che il ministero dei Beni culturali potrebbe essere unificato a quello dello Sviluppo economico. In questo caso, però, lo ‘Sviluppo’ si mangerebbe i ‘Beni culturali’. E, in ogni caso, tutto ciò sarebbe incompatibile con l’articolo 9 della Costituzione. Giovanni Urbani, storico dell’Arte, prima di dimettersi dalla presidenza dell’Istituto centrale del restauro propose di unire il ministero dei Beni culturali e quello dell’Ambiente -continua Montanari-. Ambiente e paesaggio sono un’unica cosa. Difficilmente il presidente della Repubblica potrebbe permettersi di dire che ‘l’ambiente va sfruttato fino in fondo’”.
Il “Manifesto” del Sole 24 Ore ha ricevuto l’adesione dei ministri Corrado Passera (Sviluppo economico), Lorenzo Ornaghi (Beni culturali) e Francesco Profumo (Istruzione), e ha senz’altro contribuito ad aprire un dibattito sul tema. Forse unidirezionale, a guardare i titoli di alcuni articoli usciti sul quotidiano di Confindustria: “Ora bisogna accelerare il patto pubblico-privati”; “Dismissioni pubbliche per valorizzare la cultura”.
O, ancora, “c’è nuova occupazione se la cultura si fa impresa”. Proprio come alla Villa Reale di Monza, dove a inizio marzo sono iniziati i lavori di ristrutturazione. Sono affidati a Nuova Villa Reale Monza spa: la società ha vinto la gara bandita da Infrastrutture Lombarde spa (controllata dalla Regione Lombardia) per conto del Consorzio Villa Reale e Parco di Monza, il soggetto che dal 2009 riunisce i proprietari delle aree (ministero per i Beni e le attività culturali, Regione Lombardia, Comune di Monza e Comune di Milano) insieme alla Provincia di Monza e Brianza e alla Camera di Commercio di Monza e Brianza.
La gara, però, non si limita ad affidare i lavori (40 stanze da restaurare per 3.500 metri quadri), che dovrebbero durare 24 mesi: prevede che, al termine, la “gestione delle opere” -in cambio di un canone annuale di 60mila euro- sia per 20 anni appannaggio di Nuova Villa Reale di Monza spa, cui verrà garantito anche un corrispettivo pubblico di 18.969.628 euro (pari all’81% del valore totale dell’intervento, che è di circa 23,4 milioni di euro). Gli azionisti di Nuova Villa Reale di Monza sono Italiana Costruttori, Malegori Erminio srl e Nagest Global Service. “Senz’altro società di primo livello -ragiona Roberto Scannagatti, capogruppo Pd in consiglio comunale, candidato sindaco il 5 e 6 maggio-, come Italiana Costruzioni, che sta restaurando il colonnato di San Pietro, ma attive nell’edilizia. Non sono promoter culturali. Hanno annunciato la creazione di un comitato scientifico. Immagino, però, che dovranno affidarsi a terzi per quanto riguarda la gestione della villa”. Cioè del corpo centrale della Villa Reale (piano terra, primo e secondo piano nobile, belvedere), di una parte dell’ala Nord e della corte d’ingresso. Dove, tra le altre, vengono autorizzare “attività legate all’artigianato”, “eventi”, “convegni”, “ricevimenti”, “attività di svago”, “banchetti”, in base a un contratto di concessione che “attribuisce al concessionario il diritto di utilizzare il complesso monumentale nel mondo ritenuto economicamente più conveniente”, come spiega Legambiente Lombardia in un ricorso depositato al tribunale amministrativo regionale della Lombardia. Secondo gli ambientalisti, si realizza così “una sostanziale commercializzazione del bene che lo sottrae, di fatto, alle funzioni di carattere culturale che gli sono proprie, con relativo pregiudizio per la funzione pubblica”. Il gestore, infatti, potrà scegliere se ammettere o meno il pubblico a determinati eventi, e se imporre o meno il pagamento di un biglietto. Il Belvedere, invece, diverrebbe un ristorante, aperto solo ai clienti. “Il ricorso al Tar è stato depositato il 4 ottobre 2011 -racconta l’avvocato Emanuela Beacco, che lo ha istruito per conto di Legambiente-. Non abbiamo chiesto la sospensiva dei lavori, perché non pregiudicano lo stato del bene. Il problema verrà quando gli interventi saranno terminati: le funzioni previste non sono compatibili con il carattere storico artistico della Villa Reale”.
E nemmeno con la convenzione che, nel 1996, ha trasferito la proprietà del bene dal Demanio dello Stato ai Comuni di Monza e Milano (che poi ha ceduto la propria quota alla Regione Lombardia), che si sono impegnati a destinare gli spazi ad “attività museali, culturali di rappresentanza e di fruizione e conservazione del verde” e a manifestazioni “compatibili con l’alto valore artistico del bene”. “La villa da museo di se stesso -spiega il Comitato per il Parco di Monza (www.parcomonza.org), promotore della campagna ‘La Villa Reale è anche mia’- diventa ‘location di eventi’ per lo più incompatibili con la sua dignità e la sua storia”. —

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