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Libano, Gaza e i rischi di uno stato di guerra permanente

A Beirut nei pressi della Piazza dei Martiri si intravedono ancora slogan delle proteste di massa contro il sistema politico libanese iniziate nell'ottobre 2019 © Mohammad Shamandafar

I violenti attacchi israeliani che continuano a sconvolgere il Paese aumentano i timori di un conflitto regionale. Dopo le esplosioni a distanza di migliaia di dispositivi informatici, il 23 settembre l’esercito di Tel Aviv ha bombardato il Sud, causando almeno 500 morti. “La situazione è tragica e la possibilità di una guerra su vasta scala significherebbe la fine del Libano”, spiega Ronnie Chatah, analista politico libanese

Mentre l’offensiva nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania non si ferma (ad oggi, oltre 41mila morti tra i palestinesi, di cui oltre il 70% donne e bambini), dalla seconda metà di settembre il governo israeliano ha concentrato i suoi sforzi militari in Libano.

Prima con sofisticate esplosioni a distanza di dispositivi informatici in diverse zone del Paese, poi con un attacco aereo mirato che ha distrutto un’intera palazzina nel Sud di Beirut, provocando la morte di 75 persone e ferendone almeno 3mila. Il 23 settembre, inoltre, a causa di massicci bombardamenti israeliani nelle province del Sud, nella Valle della Beqa’a e ancora su Beirut sono morte oltre 490 persone -e mentre pubblichiamo la situazione è in continua evoluzione-.

Dal giorno dopo il 7 ottobre 2023 l’ala militare del partito politico libanese Hezbollah è intervenuta al fianco di Hamas con lanci missilistici nel Nord di Israele, il quale ha risposto con altrettanti attacchi aerei. A causa di questo confronto, ad oggi, in Libano si contavano già oltre 110mila sfollati e 600 morti civili, secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, nel contesto di un Paese che sta affrontando molteplici crisi (politiche, sociali, economiche) dal 2019. Per comprendere il significato degli ultimi eventi, abbiamo intervistato Ronnie Chatah. Conduttore del podcastThe Beirut Banyan”, Chatah è un commentatore politico per media internazionali e locali (qui un suo ultimo intervento per la Bbc).

Chatah, come stanno vivendo i libanesi gli eventi degli ultimi giorni di settembre?
RC È in atto una concentrazione violentissima di quanto accaduto negli undici mesi scorsi. Osserviamo omicidi mirati più violenti, bombardamenti a tappeto a Sud e a Est, così come boom sonici dei jet israeliani sui cieli di Beirut. Tutto ciò dopo un attacco informatico e di intelligence così avanzato che credo non si sia mai visto altrove. La reazione della popolazione libanese a tutto ciò è stata uno shock totale. Questi attacchi, con l’intento di colpire psicologicamente la popolazione, hanno colto di sorpresa anche Hezbollah, che ha ammesso le proprie vulnerabilità. È una situazione in cui la gente passa il tempo a sentire i propri cari e a seguire le notizie per capire quali saranno le prossime mosse di Hezbollah, il cui segretario Hassan Nasrallah nell’ultimo discorso ha affermato che “tutte le linee rosse” sono state superate. C’è disagio, paura e dolore, la popolazione è divisa tra sottomissione, supporto e frustrazione nei confronti di Hezbollah. Ma le vittime civili, che dal 23 settembre stanno aumentando a dismisura, stanno mettendo a dura prova la pazienza dei libanesi, stanchi di vivere in uno stato di guerra permanente. Il picco di violenza attuale fa temere che il peggio, ovvero una guerra regionale o un’invasione di terra da parte di Israele, stia arrivando. Tuttavia, paradossalmente potremmo invece essere vicini a una fine delle ostilità tra le due parti.

Ronnie Chatah, figlio dell’ex diplomatico ed economista Mohammad Chatah, ucciso da un’autobomba nel 2013 a Beirut, presumibilmente innescata da Hezbollah

Ci spieghi meglio. Che cosa cerca Israele da questa escalation, e come reagirà Hezbollah?
RC La situazione rimane imprevedibile e pericolosissima, ma nonostante queste ultime violenze, soprattutto i bombardamenti a tappeto del 23 settembre, non credo siamo ancora vicini a una guerra su larga scala come nel 2006 o nel 1982. Da una parte, Israele sta usando tutta questa forza aggressiva, sofisticata e mirata per indebolire le capacità di Hezbollah e costringerlo ad una sconfitta. Che non significa portare Hezbollah a rinunciare alla propria lotta o cedere nel modo in cui affrontano la risoluzione delle Nazioni Unite 1701 del 2006 (che sancì la fine delle ostilità tra Hezbollah e Israele, stabilì, tra le altre cose, il dispiegamento dei caschi blu dell’Unifil e il completo disarmo dei gruppi armati in Libano, condizione mai rispettata da Hezbollah, ndr), ma piuttosto far capire che le loro azioni non porteranno alla fine della guerra su Gaza. È importante sottolineare anche che se Israele fosse interessato a una guerra totale contro Hezbollah, significherebbe invadere il Libano e quindi assumersi la responsabilità delle conseguenze, che sarebbero molto alte in termini di gestione di un’eventuale occupazione. Dalla parte di Hezbollah, invece, sembrano emergere delle frizioni tra gli interessi del suo sponsor principale, l’Iran, nella sua guerra a distanza contro Israele e ciò che invece il partito libanese può gestire. Hezbollah sta rischiando molto, poiché sta vedendo ridotta la sua capacità in termini di infrastruttura fisica in Libano e in Siria, ma soprattutto, sta perdendo molti dei suoi più alti funzionari militari e di intelligence. Nell’attacco del 20 settembre, tra le persone uccise, molti erano comandanti di alto rango di Hezbollah, tra cui il comandante in capo Ibrahim Aqil, che aveva a sua volta sostituito Fuad Shukr, ucciso da un attacco aereo israeliano lo scorso 30 luglio.

Eppure, Hezbollah continua a rispondere con missili nel Nord di Israele. Fino a quando sarà possibile?
RC
Dall’8 ottobre scorso assistiamo a un tipo di guerra intensa per cui Hezbollah non è preparata e oggi la sua capacità di deterrenza è a rischio. E non credo che l’Iran, di cui Hezbollah è strumento, rischierebbe di perdere questa capacità. Probabilmente Hezbollah continuerà ad attaccare Israele finché potrà, ma sta subendo molto, psicologicamente ed emotivamente, mentre Israele li sta spingendo ad accettare una sconfitta parziale. Nel complesso, ciò che è in gioco per Hezbollah è la possibilità di un’umiliazione, qualcosa che non è nel loro manuale, perché la storia di Hezbollah dice che, anche in caso di sconfitte sul campo di battaglia, ha spesso vinto nel cuore e nella mente di molti libanesi e di altri nella regione. Israele di questo ne è consapevole, per cui mentre dispiega violentissimi attacchi per mettere fine al conflitto in corso dall’ottobre dell’anno scorso -indipendentemente dalle vittime civili-, dietro le quinte potrebbero esserci discorsi avviati per un’uscita di scena accettabile di Hezbollah.

Che cosa sta facendo il governo libanese, se può fare qualcosa di significativo?
RC Il governo libanese non ha né capacità né credibilità diplomatica per fare qualcosa nella situazione attuale. Ha applicato fino ad ora un approccio attendista rispetto a Hezbollah, dimostrando come di fatto non esista un’autorità indipendente libanese. Purtroppo, il Libano non conta nulla a livello diplomatico nel contesto regionale né internazionale, e le uniche forme di dialogo, indiretto, avvengono tra gli attori principali (Iran, Israele, Stati Uniti) ed Hezbollah stesso. La situazione interna è già tragica e precaria da anni, con il passare delle ore si sta facendo largo una crisi umanitaria che il sistema sanitario e logistico libanese difficilmente può affrontare. L’esito, spero improbabile, di una guerra regionale significherebbe definitivamente la morte del Libano come lo conosciamo.

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