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Ambiente / Opinioni

Stop al consumo di suolo

Contenere, limitare, controllare, ridurre gradualmente, minimizzare e contrarre non significano fermare. Sinonimi e mediazioni non servono. “Piano terra” la rubrica del professor Paolo Pileri

Tratto da Altreconomia 189 — Gennaio 2017
Legambiente Emilia-Romagna manifesta contro il cemento: l'associazione ambientalista ha preso posizione sulla legge urbanistica regionale, che è "contro il consumo di suolo" ma permette un aumento dell'urbanizzazione

“7 minuti” è il titolo dell’ultimo film di Michele Placido. Sette minuti sono il tempo di lavoro in più, non pagato, che il nuovo azionista di una fabbrica chiede alle operaie per non licenziarle. Che sono 7 minuti? Nulla. Briciole. Sette minuti in cambio del posto di lavoro: da prendere al volo. I compromessi bisogna pur accettarli, no? Sono l’ingrediente irrinunciabile, la via della conciliazione sempre necessaria. Le operaie di quella fabbrica, però, riescono a trovare nelle pieghe di ciò che può sembrare superfluo lo stimolo per attenuare penose ingiustizie e disuguaglianze e respingono quella richiesta. Che non è affatto un nonnulla, ma un sottile artificio con cui si erode la dignità, per di più con la presunzione di non fare nulla di grave.

L’Emilia-Romagna ha pronta la sua legge contro il consumo di suolo: l’urbanizzazione potrà crescere del 3% su aree libere. È davvero una buona notizia cementificare altri 70 chilometri quadrati solo perché sono meno dei 250 previsti oggi?

Ecco: quelle operaie le vorrei al tavolo di una giunta comunale o regionale, o persino al Consiglio dei ministri nel momento in cui si approva un piano urbanistico o una legge per lo stop al consumo di suolo (a quando quel giorno?). Perché lì siedono sempre ribassisti di mestiere, soggetti pronti a dire che “stoppare è esagerato perché un po’ di consumi sono necessari”; a dire che consumare l’uno o il 3% è poca cosa rispetto al passato; a dire che le antiche previsioni di urbanizzazione non si toccano, perché sono promesse di rendita già fatte; a dire che si può consumare ai margini delle città così si tiran dritti quei bordi così scomposti (una bella forma, conta!); a proporre improbabili ricuciture (di cemento) facendo urbanizzare tutti i vuoti urbani rimasti (suvvia, quei buchi stanno così male!). Invece loro, le operaie, in 7 minuti ribalterebbero la scena, perché hanno chiaro che dalle invisibili fessure nel presente partono le profonde crepe del futuro.

Loro sanno che il compromesso è parte del gioco, ma non sono ossessionate dall’incubo della mediazione a tutti i costi e sempre. Presi uno ad uno, i consumi di suolo in molti piani urbanistici sono solo piccoli smangiucchiamenti, tipo i 7 minuti rispetto alle 8 ore di lavoro. Ma se li sommi tra loro, ti accorgi che ti sei mangiato via un’intera città di suolo libero di cui non avevi bisogno, peggiorando ambiente, salute e spesa pubblica. “A quanto pare abbiamo preso l’abitudine ad accettare compromessi su questioni che non li ammetterebbero, e sulle quali in effetti non bisogna accettarli” (Wendell Berry, 2015).

Il consumo di suolo è figlio di stagioni di piccoli compromessi, apparentemente accettabili, che si rivelano enormi fregature. Anche il linguaggio nelle leggi e nei piani è misurato, tagliato, ammorbidito, e le parole sembrano prese dal dizionario “compromessi&mediazioni”: non leggiamo mai “fermare il consumo” ma contenere, limitare, controllare, ridurre progressivamente o gradualmente, minimizzare, orientare a, contrarre. Fin dalle parole, tutto prende il sapore della mediazione che imprime il suo marchio ai pensieri. A me pare però l’indicatore di un’inadeguatezza politica generale, che alimenta una regressione culturale e favorisce il “teorema del riduzionismo” con cui si sgrava l’attenzione da tutto ciò che sembra piccolo e innocuo, ma non lo è. “Non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Semplicemente si tratta di ridefinire il progresso” (Laudato sì, pt. 194). In meno di 7 minuti tutto ci è chiaro e la lotta di quelle operaie diviene un invito per tutti noi.

Paolo Pileri è professore associato di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Che cosa c’è sotto” (Altreconomia, 2016)

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