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 La televisione pubblica riserverà sei minuti al giorno per ogni quesito referendario. L’informazione sul referendum non la troveremo nelle ore di punta e i riferimenti ai quesiti referendari, i due sull’acqua sono quelli che nella storia hanno ottenuto più firme…

 La televisione pubblica riserverà sei minuti al giorno per ogni quesito referendario. L’informazione sul referendum non la troveremo nelle ore di punta e i riferimenti ai quesiti referendari, i due sull’acqua sono quelli che nella storia hanno ottenuto più firme a sostegno, saranno rari e confusionari. I referendum sono nati poi per  abrogare norme relative a questioni molto complesse: come esaurire il tema dell’energia nucleare in sei minuti, dando spazio ai "pro" e ai "contro" e senza ridurlo a questione meramente ideologica? Come fare sì che intorno al questito sul futuro della gestione del servizio idrico si sviluppi una riflessione intorno ai servizi pubblici, alla loro supposta rilevanza economica e alla visione del bene comune? L’occultamento è la strategia più comoda per il potere: la fatica di demolire ciò che è scomodo, magari con insulti e falsità, non serve, basta far calare il silenzio. Non occorre rimestare nel passato di qualche candidato. Quando non c’è la politica partitica di mezzo è molto più facile. I mezzi di informazione trovano più attraente destinare enormi spazi ai confronti elettorali, anche se amministrativi, mentre un movimento popolare "sano" come quello aggregato intorno ai referendum non attira. Lo sappiamo: salvo poche eccezioni l’agenda dell’informazione è dettata in Italia dalla politica, e più che gli organi di stampa, sono le agenzie di stampa a consacrare questo predominio, battendo migliaia e migliaia di agenzie ad ogni soffio del politico di turno e senza lo sforzo di andare a scavare nelle vere questioni del nostro Paese. Tranne quando qualche istituto di ricerca, facendo finalmente il proprio mestiere, consegna una bella cartella stampa in cui nero su bianco leggiamo le iniquità e ingiustizie che sempre di più attraversano l’Italia. Ha fatto più rumoreun borbottio di Umberto Bossi sui referendum che 1,4 milioni di persone che lo hanno sostenuto. I fautori di questi paradossi sono i mezzi di informazione conniventi con la supremazia di questa politica. E’ un problema strutturale per la nostra democrazia, ma nella contingenza del referendum qualche soluzione c’è. I giornalisti non vivono sulle astronavi, lavorano in mezzo alla società e vivono "di noi", di chi compra i giornali, di chi compra i prodotti della pubblicità, di chi paga il canone, di chi si abbona a pay tv. Quando un una redazione arriva una mail di un lettore, le antenne pigre dei giornalisti si alzano sempre (anche quando è rom). Allora scriviamo semplicemente, bastano pochi minuti. "Sono un vostro lettore (o ascoltatore) e ritengo insufficiente l’informazione che state facendo per i referendum. Anche in base alla corretta informazione che farete in questa settimana deciderò se continuare ad esserlo". Messaggi così hanno il diritto di arrivare senza sforzo.

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