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Diritti / Attualità

Migranti: il governo punta su Tripoli ma ribellarsi ai respingimenti verso la Libia è un atto di legittima difesa

Migranti intercettati e riportati sulle coste libiche dalla "Guardia costiera" del Paese

La politica dei “porti chiusi” e della cooperazione con le autorità libiche è stata bocciata dalla sentenza del Gip di Trapani di fine maggio sul caso di una “ribellione” di due migranti a bordo del rimorchiatore Vos Thalassa, risalente al luglio 2018. Dopo essere stati salvati, stavano per essere riportati indietro, subendo così “un’aggressione antigiuridica ai loro diritti”. “Il governo italiano continua a proseguire una linea politica che la magistratura definisce come illecita”. Intervista a Luca Masera, professore di Diritto penale all’Università degli Studi di Brescia

Ribellarsi ai respingimenti in mare verso la Libia è un atto di legittima difesa, una reazione proporzionata a politiche illegittime portate avanti dalle autorità italiane e ribadite, da ultimo, dal Comitato nazionale ordine e sicurezza presieduto l’8 luglio scorso dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini. In quell’occasione, infatti, sono state annunciate nuove “misure rafforzate contro l’immigrazione irregolare e per difendere i porti” tramite l’invio di dieci motovedette “da consegnare alla guardia costiera libica entro l’estate” nonché “emendamenti al decreto sicurezza bis per rendere più efficace il contrasto al traffico di esseri umani e per aumentare le pene per scafisti e trafficanti”.

Eppure l’intero pacchetto della politica dei “porti chiusi” e della cooperazione con le autorità libiche finalizzata ai respingimenti, incluso il memorandum Italia-Libia del febbraio 2017, è stato radicalmente bocciato da una sentenza passata sotto traccia, ovvero quella del giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Trapani del 23 maggio 2019 sul caso di una “ribellione” di due migranti a bordo del rimorchiatore Vos Thalassa, risalente al luglio 2018.

Un “grosso sasso nello stagno” nel dibattito sulla gestione dei soccorsi dei migranti provenienti dalla Libia, come ha scritto Luca Masera, professore associato in Diritto penale presso l’Università degli Studi di Brescia e socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI). Masera ha studiato con attenzione le 72 pagine delle motivazioni del Gip (Piero Grillo) e curato un contributo illuminante sulla rivista Diritto penale contemporaneo.

Professor Masera, partiamo dai fatti. Che cosa è successo a bordo della Vos Thalassa?
LM L’8 luglio 2018 il rimorchiatore Vos Thalassa, battente bandiera italiana e adibito alle attività di supporto di una piattaforma petrolifera libica, comunicò alle competenti autorità italiane (MRCC, Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo) di avere soccorso più di 60 migranti presenti a bordo di un piccolo natante in legno in procinto di affondare. Quella comunicazione fu inoltrata dal nostro MRCC alle autorità libiche, che non fornirono tuttavia alcuna risposta. In mancanza di attivazione da parte libica, il MRCC di Roma invitò in un primo momento il comandante della Vos Thalassa a fare rotta verso Lampedusa. In seguito, tuttavia, il comandante chiamò nuovamente le autorità italiane, riferendo di essere stato contattato dalla Guardia costiera libica (GCL), che gli avrebbe ordinato di dirigere l’imbarcazione verso le coste africane, al fine di effettuare il trasbordo dei migranti su una motovedetta libica. La nave puntò allora verso Sud, in direzione del punto di incontro indicato dalle autorità libiche, ma dopo poche miglia la situazione si fece difficile.

Perché?
LM Uno dei migranti si rese conto che la nave aveva cambiato rotta e si stava dirigendo verso le coste libiche. Ci fu grande agitazione e i naufraghi si rivolsero in modo minaccioso ai membri dell’equipaggio presenti sul ponte, chiedendo loro di invertire la rotta e non riportarli in Libia. I due imputati, in particolare, si misero a capo della protesta. Il comandante segnalò allora la situazione di pericolo alle autorità italiane, chiedendo l’invio di un’unità militare che potesse garantire la sicurezza dell’equipaggio; dopo momenti di grande tensione, l’MRCC inviò sul posto un’unità navale della Guardia costiera che prese a bordo i migranti e li portò in Italia.

In quelle ore furono invocate manette e pene esemplari. In due vennero accusati di violenza o minaccia e resistenza a pubblico ufficiale e di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione irregolare.
LM Secondo i membri dell’equipaggio, i migranti avrebbero minacciato di tagliare loro la gola se la nave avesse continuato la rotta verso la Libia, mentre i migranti sostengono che il gesto di passare una mano sotto la gola  fosse un modo per indicare i rischi per la loro vita cui gli stessi migranti sarebbero stati esposti qualora fossero stati riportati nei campi di detenzione libici. In ogni caso, gli stessi migranti hanno confermato di essersi opposti con decisione alla prospettiva di essere riportati in Libia, senza negare di avere tenuto quei comportamenti materiali che erano stati percepiti come direttamente minacciosi della loro integrità fisica dai componenti dell’equipaggio.

Tanto che il Tribunale ha riconosciuto come “indiscutibile” il fatto che “le azioni delittuose indicate nei capi di imputazione siano state poste in essere dagli imputati”. Che cosa ha deciso allora il giudice?
LM Accogliendo la prospettazione di uno degli avvocati difensori, il giudice ha riconosciuto la legittima difesa degli imputati, che non era mai stata riconosciuta in casi di questo genere. In molti casi di procedimenti precedenti, anche aperti nei confronti dei soccorritori, si era posto semmai il tema dello stato di necessità. In questo caso invece la qualificazione della condotta è diversa. Non c’è lo stato di necessità ma la legittima difesa perché c’è un’aggressione illecita ai diritti dei migranti. Aggressione che consiste proprio nella condotta del capitano della Vos Thalassa di tentare di riportarli verso la Libia.

Quindi il ritorno nei campi libici era ed è un’offesa “ingiusta” cui i migranti si sono opposti.
LM Lo stato di necessità viene riconosciuto “semplicemente” quando l’interessato si trova in una situazione di pericolo indipendente dalla condotta di qualcuno, quando nessuno è responsabile. Nel caso della legittima difesa, invece, è riconosciuto che qualcuno sta aggredendo illecitamente i diritti di altri. Cioè qualcuno sta commettendo un reato al quale la vittima si è opposta. Questo è il passaggio forte della sentenza. Vuol dire che le autorità italiane stavano commettendo un reato.

Perché dice “le autorità italiane”?
LM Perché è da parte delle autorità italiane che giunse quell’ordine al comandante della Vos Thalassa, “palesemente contrario alla Convenzione di Amburgo” come scrive il Gip, dalla quale invece emerge “un obbligo di salvataggio in mare della vita umana”, obbligo che a sua volta comporta il “dovere di individuazione di un porto sicuro dove sbarcare le persone”. Va chiarito che il giudice non si è posto il problema della responsabilità penale perché ha sostenuto che il comandante fosse soggettivamente convinto di obbedire a un ordine legittimo dell’autorità e quindi “la sua condotta era non giusta, ma semplicemente scusata”. Ma questo in ogni caso apre uno scenario nuovo.

Quale?
LM Se quell’ordine è illegittimo, se quell’imposizione avrebbe cioè imposto al capitano di commettere un reato rimandando verso la Libia i migranti, come è stato riconosciuto, allora qualcuno ne dovrebbe rispondere.

La sentenza conclude peraltro che il memorandum Italia-Libia stipulato nel 2017 è “privo di validità”, “nullo”, “incompatibile con l’articolo 10 comma 1 della Costituzione”. Un macigno.
LM La sentenza è chiara. Il memorandum tra Italia e Libia è in contrasto con il diritto internazionale. In modo particolare con la Convenzione SAR di Amburgo del 1979. La sentenza è esplicita nel dichiararne l’illegittimità nel merito ma sottolinea un altro aspetto importante, sul piano della forma. Il memorandum è illegittimo anche per come è stato approvato. “Pur avendo ad oggetto una materia rientrante tra quelle per cui l’art. 80 Cost. prescrive la previa autorizzazione parlamentare alla ratifica -si legge- è stato concluso in forma semplificata, ovverossia con il solo consenso espresso dal Presidente del Consiglio italiano e dal capo del governo libico di riconciliazione nazionale senza la previa autorizzazione del Parlamento”.

Torniamo al tema della responsabilità penale. Che cosa aggiunge la sentenza di Trapani?
LM Il GIP non si pone il problema della responsabilità penale, nel senso che, come detto, solleva il capitano per aver adempiuto a un ordine che riteneva legittimo. Il passaggio che non fa -e che invece a mio parere, a rigore, avrebbe dovuto fare- sarebbe stato trasmettere gli atti alla Procura per verificare se qualcuno eventualmente avrebbe dovuto rispondere di un reato.

Lei scrive che “il rigoroso controllo di legalità dell’operato delle autorità di governo da parte della magistratura, anche penale, risulta più che mai decisivo”. E nel suo contributo fornisce anche “qualche spunto per una prima riflessione”.
LM Se queste politiche dei porti chiusi e del tentativo di respingimento verso la Libia sono contrarie al diritto internazionale, come parte della magistratura italiana ha riconosciuto, a questo punto le fattispecie penali potrebbero essere quelle dell’abuso d’ufficio, ad esempio. Si tratta di quella condotta del pubblico ufficiale che in violazione di leggi cagiona un danno ingiusto. Io lo intravedo in tutte le ipotesi in cui l’autorità italiana collabora con l’autorità libica, che è poi la prassi come sappiamo. Se questa cooperazione, come è, è contraria al diritto internazionale, questo pone il tema della possibile qualificazione dell’abuso d’ufficio (o anche della violenza privata). Non è mia intenzione concentrarmi eccessivamente sulla qualificazione giuridica, che dipende dalle singole vicende concrete, ma una volta dichiarata illegittima una politica perché contraria al diritto internazionale inevitabilmente si apre un problema di configurazione di reati. Cosa che la magistratura al momento non sta ancora facendo: è un passaggio che è rimasto inespresso fino ad ora.

È impressionante confrontare la sentenza del Gip di Trapani sul caso Vos Thalassa -o l’ordinanza del Gip di Agrigento sul caso Sea Watch/Carola Rackete– con le politiche dell’esecutivo. Che cosa osserva?
LM Osservo una dinamica che pone l’accento su una crisi acuta dei rapporti istituzionali. Di per sé una sentenza che riconosce la legittima difesa nei confronti di un’autorità dello Stato segna un momento di crisi. C’è qualcosa che non funziona se un pubblico ufficiale che fa il suo lavoro può vedersi opposta la legittima difesa. Ed è una situazione che nei prossimi mesi credo che dovrà arrivare a una soluzione, altrimenti ci si troverà di fronte a un’autentica crisi di funzionamento. Se il governo continua a proseguire una linea politica che la magistratura definisce come illecita questo non è sostenibile nel lungo periodo.

In che senso?
LM Pensiamo alla responsabilità del ministro dell’Interno che con questo modo di agire espone a rischio chi poi in concreto deve implementare quelle politiche. È il caso dei finanzieri del caso della Sea Watch 3 e della capitana Carola Rackete a Lampedusa. A quegli ufficiali disposti alla banchina al fine di impedire l’attracco è stato ordinato di tenere una condotta che secondo il magistrato di Agrigento è una condotta illegittima, perché la Sea Watch 3 aveva tutto il diritto di attraccare. A questo punto si pone un tema di tutela dei pubblici funzionari, che vengono esposti a rischi. Se si ordina di commettere un atto illecito vuol dire che se qualcuno si ribella questo sarà nel giusto. Il che è paradossale per un pubblico ufficiale che dovrebbe agire nella consapevolezza che la legge sia dalla sua parte. Ripeto è una situazione che dovrà essere sciolta altrimenti lo scontro davvero non avrebbe precedenti.

I sostenitori della “linea Salvini” potrebbero obiettare che sono pronunciamenti di appena due giudici, a Trapani e ad Agrigento.
LM Conosco questa contestazione. Dico però che si ripetono provvedimenti di questo genere a questo punto la crisi diventa lampante. E a braccio di ferro avviato -tra magistratura e potere esecutivo- resterà da capire chi “mollerà” prima. Ora ad esempio si porrà anche il problema dei “divieti di ingresso” emanati sulla base del “decreto Salvini bis” e che sicuramente saranno impugnati. Se adottassi le categorie del Gip di Agrigento o di Trapani, il TAR dovrebbe annullare quel “divieto”, dichiarandone l’illegittimità.

Se l’orientamento del GIP di Trapani dovesse affermarsi quale corretta interpretazioni dei fatti e delle norme, anche le Ong, oggi minacciate con multe e provvedimenti coercitivi, qualora riportassero in Libia dei migranti soccorsi e questi dovessero opporsi e costringerli a far rotta verso l’Italia, sarebbe la Ong a commettere un’offesa antigiuridica a danno dei migranti.
LM Certamente. Se questa si affermasse quale interpretazione della magistratura e trovasse dunque conferma in Cassazione, sarebbe una bocciatura radicale di tutta la politica dei porti chiusi e della cooperazione con le autorità libiche.

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