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Buon compleanno Google, tasse incluse

Il 27 agosto del 2002 veniva costituita la Google Italy Srl, succursale italiana del colosso del web. A 13 anni di distanza ecco il conto totale delle imposte versate al fisco: 12 milioni di euro, meno del 2,5% del fatturato stimato dall’Agcom di un solo anno di attività. E dall’ultimo bilancio emerge un "confronto" tra il collegio sindacale e i vertici della filiale a proposito di "transfer pricing".
L’intervista all’autore dell’inchiesta su Radio Popolare

Il 27 agosto la succursale italiana di Google compie 13 anni. È tempo di bilanci, dunque. E quello che riguarda le imposte versate tra il 2002 e il 2014 dalla Google Italy Srl è amaro. La società, infatti, ha corrisposto complessivamente al fisco del nostro Paese 12.085.040 euro, realizzando nello stesso periodo utili ancora più bassi (10.608.307 euro). Questi numeri, però, sono nulla se paragonati al fatturato “reale” del colosso proiettato nella Relazione annuale 2015 dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni: Google infatti è il primo “operatore attivo nella raccolta pubblicitaria online in Italia”, detentore di “una quota superiore al 30%”. A differenza di altre fonti -per le quali il fatturato pubblicitario in rete sarebbe ben al di sopra dei 2 miliardi di euro- l’Autorità ha quantificato in 1,63 miliardi l’ammontare dei ricavi. Fatti i conti, il 30% di questa cifra prudenziale sarebbe pari a circa 490 milioni euro. Le tasse pagate in 13 anni, quindi, rappresentano solo il 2,4% del fatturato stimato dall’Autorità (al ribasso) di un solo anno di attività.
Inoltre dall’ultimo bilancio emerge un “confronto” tra management e collegio sindacale a proposito di “transfer pricing”, cioè di quell’alterazione dei prezzi di vendita praticati nelle operazioni infragruppo che punta a trasferire i redditi da un Paese come il nostro a quelli a fiscalità agevolata, come l’Irlanda, dove ha sede la consociata della Google Italy Srl. Ma facciamo un passo indietro.
 
L’artificio irlandese che permette di abbattere l’imponibile è noto, oltreché di nuovo contenuto nella tabella dei ricavi dell’ultimo esercizio della Srl (167 i dipendenti al primo trimestre 2015). Dei 54.440.330 euro (più 10% rispetto al 2013) raccolti lo scorso anno, oltre il 97% proveniva dall’Irlanda (Google Ireland Ltd), frutto di “rapporti di natura commerciale con altre società facenti parte del Gruppo”, come si legge nella Relazione sulla gestione. Tradotto, la filiale che opera nel nostro Paese incamera minime commissioni dall’Irlanda, mentre l’ammontare complessivo finisce a Dublino.
 
Google si conferma quindi una creatura particolare: a livello globale si propone come soggetto istituzionale che guarda al di là del mero profitto, incline ad annunci rivoluzionari in grado di alimentarne l’immagine lungimirante -si pensi al lancio di Alphabet e ai commenti “Google cambia pelle”, “Rivoluzione per Google”, “Spettacolare mossa societaria”-.
A livello nazionale, al contrario, replica un modello antico, tipico di aziende multinazionali tradizionali, attraverso il quale, legalmente, drena risorse al Paese dove opera spostandole in Paesi dalla fiscalità agevolata, come è l’Irlanda nel nostro caso.


 

E questo modo di agire continua, nonostante le modifiche normative intervenute (o annunciate) negli anni. La più recente risale alla Legge di stabilità del 2014 (precisamente al comma 177 della Legge 147/2013, per la prima in volta in vigore con la chiusura dell’esercizio dello scorso anno), per la quale “le società che operano nel settore della raccolta di pubblicità on-line e dei servizi ad essa ausiliari sono tenute a utilizzare indicatori di profitto  diversi da  quelli applicabili ai costi sostenuti per lo svolgimento della  propria attività”. 
 
Stando a Google, tutto questo avrebbe fatto sorgere “inevitabili incertezze” capaci di “comportare effetti rilevanti sulle determinazione dell’imponibile fiscale della società”. Le parole sono di Daniel Lawrence Martinelli, referente del Cda della Srl più volte finita sotto la lente dell’Agenzia delle Entrate e che ha firmato la Relazione sulla gestione, secondo il quale “non esistono linee guida emesse dall’Amministrazione finanziaria”.
 
Ma è sull’interpretazione della norma di stabilità che pare essersi consumato un confronto rimasto senza esito tra il sindaco uscente della succursale operante in Italia -Luca Lavazza, professionista presso PricewaterhouseCoopers, e i vertici della società. “Durante il corso dell’esercizio -scrive infatti il consulente milanese nella relazione a sua firma del 26 giugno 2015- il collegio sindacale ha discusso, più volte, con il management della Società dell’applicazione di tale norma. In vista dell’applicazione della stessa, è stato chiesto durante le verifiche e via email la documentazione di transfer pricing che non è stata fornita”.
 
Buon compleanno Google.

Clicca sull’icona per ascoltare l’intervista del 27 agosto all’autore dell’inchiesta su Radio Popolare

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